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Il ruggito del giaguaro 2


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23 risposte a questa discussione

#1 depy91

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Inviato 28 dicembre 2009 - 01:06

Ciao ragazzi, finalmente eccoci ritrovati dopo una lunga pausa. Ho deciso in questi giorni di riprendere le vicende di kingI per scoprire cosa sia accaduto dopo il primo torneo. Se avrete voglia di leggere quello che ho scritto, vi propongo subito il primo capitolo:

Gocce di sudore sgorgavano dalla pelle, evaporando al semplice contatto con la sua schiena bollente per la tensione. Un costante ronzio proveniva dalla lampada al neon che illuminava lo scarno spogliatoio, lo spessore della porta chiusa permetteva comunque ai boati della folla urlante di penetrare sin dentro quella stanza, la cui monotonia architettonica era frammezzata da armadietti metallici divorati dalla ruggine e lunghe panche in legno. King sedeva su di uno sgabello, poggiando i gomiti sulle ginocchia e nascondendo il viso tra le mani. Accanto a lui giaceva sul piano di una vecchia scrivania la sua gloriosa maschera, indossando la quale egli aveva sconfitto gli avversari più temibili e ruggendo aveva proclamato le proprie vittorie sui ring di tutto il mondo. Qualcuno bussò alla porta, King non accennò a rispondere, rimase in silenzio, nella medesima posizione. Quel suono provocò una scossa nella testa del wrestler, le sue carni vibrarono e per qualche istante la sua mente volò via da quel luogo meschino, per tornare a qualche mese addietro, tra le pareti del suo amato orfanotrofio: Un amaro silenzio rimbombava più forte di un’esplosione, mentre King attendeva con il viso affranto davanti all’ingresso del dormitorio, chiuso a chiave. Udì evocare il suo nome, dunque scattò in piedi, bussò alla porta ed il chiavistello fu scostato dall’interno, cigolando rumorosamente. King varcò la soglia, la scena che lo aspettava sarebbe rimasta vivida nella sua memoria per sempre. Un bambino, sei anni al massimo, uno dei tanti piccoli sfortunati che abitava quel luogo caritatevole, giaceva disteso sul letto, avvolto da uno spesso strato di coperte, per cercare di affievolire la febbre alta che da giorni non gli dava pace. Respirava affannosamente e la sua fronte corrugata grondava sudore, mentre un innaturale pallore aveva invaso la sua pelle. Il medico gli sedeva accanto, asciugandogli il viso di tanto in tanto e reggendogli una mano, a quanto pareva aveva fatto il possibile per aiutare quella tenera creatura, ma i suoi sforzi si erano rivelati inutili. King rimase pietrificato per un secondo davanti alla porta, poi avanzò lentamente, finché raggiunse la sedia posta ai piedi del letto, su cui si abbandonò come privato delle energie. Il bambino aprì gli occhi e ruotò gravemente le pupille, per incontrare la figura del suo idolo, il grande King. Un sorriso comparve sul suo faccino e per un attimo sembrò colorarsi di un rosa tenue. “K-King…” balbettò il convalescente ed il wrestler s’alzò per stringerlo tra le sue braccia. Gioso come se ogni male fosse svanito, il fanciullo fissò lo sguardo in quello del volto felino e con voce tremolante domandò ingenuamente: “Mi salverai, non è vero? Mi porterai lontano da qui e mi insegnerai a lottare come un vero combattente. Ti seguo sempre in TV, sai? Sei il mio eroe… mi salverai, King, non è così?”. Quelle parole sconvolsero l’inerme wrestler messicano, il quale sentì la voce affogargli in gola, alzò lo sguardo verso il medico e quest’ultimo chinò il capo in segno di rassegnazione. Lentamente King rivolse nuovamente gli occhi al bambino, mentre lacrime bollenti scorrevano sino ad emergere dal bordo inferiore della maschera. Il pargolo abbracciò con tutte le sue forze il suo modello da seguire, ma progressivamente la stretta si fece più lieve, sino a che le esili braccia del bambino piombarono penzoloni, prive di slancio vitale. Le palpebre coprirono i suoi occhi lucidi e non un’altra parola provenne dalle sue labbra. King comprese cosa fosse appena accaduto, i sui arti nerboruti iniziarono a tremare, il suo cuore a palpitare rapidamente. Il medico lasciò la sala, senza dir nulla e senza sollevare il capo. King rimase a sostenere il corpicino privo di vita del fanciullo ancora per diversi minuti, infine lo ripose nuovamente sul letto, rimboccandogli le coperte con cura. Quella sera lasciò l’orfanotrofio, non vi fece più ritorno.
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#2 °Nina_Williams°

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Inviato 28 dicembre 2009 - 01:16

depy sei tornato :D
wow è fantastico questo capitolo, l'ultimo pezzo mi ha fatto davvero emozionare...
ti prego continua
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#3 TrueLife

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Inviato 28 dicembre 2009 - 01:22

Depy, modifica la firma: è troppo alta.

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#4 depy91

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Inviato 29 dicembre 2009 - 10:57

Firma modificata e nuovo capitolo in arrivo...

I colpi insistenti alla porta dello spogliatoi lo destarono nuovamente e la l’evanescente nuvola di reminiscenze si diradò. King segnalò la sua presenza con un tonante ruggito, allorché una voce dietro l’imposta lo informò che sul ring tutto era pronto per lo svolgimento del match e che tutti lo stavano attendendo con ansia. Il lottatore si voltò verso il suo impermeabile, riposto disordinatamente su una delle panche, inserì la mano in una delle tasche, ne estrasse una bottiglietta metallica quadrangolare, ne bevve il contenuto a lunghi sorsi, infine scagliò il contenitore vuoto su di uno specchio, mandandolo in frantumi. Si asciugò le labbra umide e finalmente decise di mettersi in piedi, sebbene il suo equilibrio fosse stato intaccato fortemente dagli effetti di quel fluido alcolico. Celò il volto dietro la maschera di giaguaro, afferrò un mantello sgualcito che pendeva dall’appendiabiti accanto all’uscita, lo indossò e spalancò con violenza la porta, che dava su un lungo corridoio dalle pareti scrostate. Il fragore della gente in visibilio diveniva via via più intenso, man mano che i suoi passi stanchi lo guidavano verso il ring. Alla sua apparizione, corrispose un sonoro boato che fece vibrare l’intero locale, ma King non udiva nient’altro che l’ingombrante peso dei suoi ricordi. Nell’angusto spazio di una locanda malandata era stato allestito un angolo adibito ai combattimenti e alle scommesse. Da quel triste giorno, che non aveva mai smesso di tormentare la mente di King, egli aveva abbandonato il mondo del wrestling professionistico, per tornare nell’ambiente losco della lotta di strada, da cui tanto faticosamente era riuscito a venir fuori in giovane età grazie al coraggio e alla fede. Erano ormai lontani i giorni dei grandi successi e i profondi vuoti della sua nuova vita venivano colmati dall’alcol.
King oltrepassò le corde e salì sul ring. Davanti a sé il suo avversario stava ancora incitando il pubblico. L’uomo dal volto di giaguaro gettò a terra il proprio mantello e si preparò a lottare. La sua vista era offuscata dall’ebbrezza ed i sui movimenti erano rallentati e imprecisi. Quando la campana ebbe squillato l’inizio dell’incontro, non fu nemmeno in grado di schivare il poderoso ma prevedibile pugno dello sfidante, che lo colpì in pieno volto, scagliandolo al tappeto. Sostenendosi dalle corde, King si rimise in piedi a fatica, mentre l’avversario lo derise dicendo: “Quale delusione mi provoca questo spettacolo pietoso. Il grande King sbronzo a prenderle di santa ragione. Cosa c’è, campione, sazio di successo ma non di liquore?”. Una risata concluse l’insinuazione, che tuttavia non rimase impunita. Colto da un’invisibile collera funesta, infatti, il wrestler evitò le successive tecniche e in un lampo si trovò alle spalle dell’avversario. Con un potente calcio alle caviglie lo spedì disteso a terra, e appena si fu rialzato, gli sferrò un gancio in ventre, piegandolo in una smorfia di dolore. A questo punto afferrò il capo dello sfidante, stringendolo saldamente tra l’avambraccio e il bicipite destro, mentre con il braccio sinistro sollevò il corpo dell’arrogante combattente, sospendendolo in aria a testa in giù. Il pubblicò rumoreggiò gradendo la mossa che stava per concludersi. King si lanciò all’indietro, facendo piombare al suolo l’avversario da quella notevole altezza. Il match poteva essere dichiarato terminato, poiché soltanto King, seppur barcollando era in grado di proseguire l’incontro.

COMMENTATE! :)
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#5 °Nina_Williams°

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Inviato 29 dicembre 2009 - 05:21

che bello :chiagne: l'avevo letto prima però non avevo tempo per commentare
Continua :)
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#6 depy91

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Inviato 30 dicembre 2009 - 01:06

Grazie nina i tuoi commenti sono sempre graditi, in qualunque momento li invii :)
Ora passo al nuovo capitolo preannunciando che nel prossimo assisteremo ad un brusco cambio di scena.

Lo speaker si apprestava a sollevare il braccio destro del vincitore per sancirne l’ennesima vittoria, ma il wrestler abbandonò il ring, senza proferire una parola, riscosse la sua parte di guadagno dal giro di scommesse che ruotava attorno alle sue performance e ritornò nello spogliatoio, per raccogliere la propria roba ed uscire dal locale. Durante il breve tragitto tuttavia, un fischio insopportabile gli scosse l’udito, un bruciore improvviso gli pervase la fronte, King cadde sulle ginocchia, in preda ad una visione, la stessa che interrompeva il suo sonno tutte le notti: una voce inumana pronunciava delle frasi di cui era impossibile cogliere il senso, due occhi rossi e incandescenti come la lava lo fissavano minacciosi, come se lo stessero giudicando per un qualche male compiuto, infine da una impenetrabile coltre di nebbia emergeva d’un tratto un serpente, che strisciando rapidamente gli veniva incontro a fauci spalancate. Tale scena concludeva la visione ed ogni cosa svaniva per tornare in agguato tra i meandri più reconditi della mente di King. Egli si risollevò sospirando lungamente, per essere riuscito a sopportare ancora una volta questo suo tormento ricorrente, intontito raggiunse lo spogliatoio, indossò l’impermeabile e uscì in strada, con l’unico scopo di trovare un bancone di un bar qualsiasi, sul quale sfogare il proprio dramma, barattando il denaro dell’incontro con bicchieri colmi di frustrazione. La vita di King era molto cambiata da quella terribile sera. I giorni dei grandi tornei erano finiti e l’ultimo a cui aveva preso parte era stato il Tekken, nel quale si classificò alla terza posizione, sconfitto da Kazuya Mishima, il figlio dell’organizzatore della competizione. Sebbene l’Iron Fist fosse popolato da combattenti di eccelso valore, King aveva dato il meglio di sé con l’obbiettivo di accaparrarsi il consistente premio in denaro messo in palio dalla Mishima Zaibatsu. Il terzo posto gli valse un’ingente somma, che egli decise di devolvere totalmente a favore dell’orfanotrofio. Lì King aveva trovato la sua nuova famiglia e la sua esistenza scorreva serena, al servizio dei bambini, fan tra i più sfegatati delle sue imprese sportive. Una notte tuttavia qualcuno bussò al portale dell’orfanotrofio, sulla soglia un fanciullo dall’aspetto malconcio e infreddolito chiedeva ospitalità. Naturalmente fu accolto con gioia e King lo interrogò per scoprirne la provenienza. Il piccolo raccontò di essere fuggito dalla casa dell’uomo che l’aveva raccolto ancora in fasce dalla strada, quando la sua famiglia lo aveva abbandonato. La ragione di un gesto tanto sconsiderato era l’attività criminale a cui lo costringeva il suo tutore in cambio di miseri pasti e di un tetto sotto cui trascorrere le notti. Come lui altri bambini vivevano la stessa situazione e venivano sfruttati per furti, spaccio e molto altro. King riconobbe in quella creatura lo stesso destino che lo aveva riguardato in tenera età, dunque lo rassicurò sostenendo che era giunto nel posto giusto, dove avrebbe trovato pace dai suoi affanni. Il bambino ringraziò e accettò di buon grado la proposta di una nuova dimora. Nei mesi successivi, però, il ragazzino mostrò i segni di un qualche malanno ed i medici riscontrarono in lui un morbo potenzialmente letale. King lo affidò alle cure dei migliori esperti, concesse al caso tutte le proprie risorse, impegnò anima e corpo, affinché una vita felice potesse rappresentare l’unica prospettiva per l’avvenire del piccolo. Purtroppo ogni sforzo fu vano. Da allora, divorato dall’orribile sensazione di non aver fatto abbastanza per salvarlo e attribuendosi la totale incapacità di gestire in maniera appropriata quel luogo così fortemente desiderato, King sparì da tutto e tutti, divenendo nuovamente uno street-fighter e affogando i propri dispiaceri nell’alcol.

Mi affido ai vostri commenti!!! :ahsisi:
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#7 °Nina_Williams°

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Inviato 30 dicembre 2009 - 02:53

molto ma molto bello! Mi piace moltissimo l'ultimo parte in cui parli del bambino, peccato per la fine però :cry:
bellissimo, continua voglio sapere :)
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#8 depy91

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Inviato 30 dicembre 2009 - 03:02

Grazie! Rieccomi qui per un altro pezzetto di storia appena scritto!

Intanto, dall’altra parte del mondo, in Giappone, si stava svolgendo un match fondamentale della Pro Wrestling World, la federazione internazionale di wrestling. Il clamore del pubblico esplodeva tra le pareti dello stadio per incitare i propri beniamini, mentre una voce dagli altoparlanti stava annunciando alla platea gli sfidanti. Ad un angolo del ring sbraitava il campione locale, consapevole di avere dalla sua la maggior parte degli spettatori, un gioco di luci, proiettate dai grandi fari posti al di sopra dello spazio riservato ai lottatori, ed un magniloquente jingle musicale facevano da sfondo alla sua parata di presentazione. All’angolo opposto il combattente ospite osservava con aria di sufficienza la sceneggiata, rimanendo a braccia conserte a bordo ring. Il suo torace era coperto da un’armatura metallica, a cui corrispondevano su spalle, avambracci e caviglie, protezioni dello stesso materiale, luccicanti di bianchi riflessi. La sua pelle mulatta presagiva una provenienza latinoamericana ed il suo volto era nascosto dietro una splendida maschera di giaguaro nero, il cui occhio sinistro presentava una profonda cicatrice. La voce di presentazione annunciò: “Dal lontano Messico, nelle sue vene scorre il sangue di un felino, attorno alla sua vera identità regna il mistero, ecco a voi… Armour King!”. Egli salutò il pubblico battendo un pugno sul pettorale di metallo, alzandolo poi sopra la testa, infine si mise in guardia, in attesa del via dell’arbitro. Il segnale fu dato e l’incontro ebbe inizio. Il Giapponese attaccò per primo ed ogni suo gesto veniva accompagnato dai cori dei suoi sostenitori, ma i suoi colpi furono facilmente evitati dal rivale, che con fulminea prontezza rispose agli affondi con una tecnica che stordì l’avversario. Con un balzo Armour King salì su uno dei sostegni d’angolo e da lì si tuffò addosso al Nipponico, infliggendogli una dolorosa gomitata. Entrambi finirono al tappeto, ma il giaguaro nero si rimise subito in piedi, seguito dopo qualche secondo dal wrestler locale, che, in preda al rabbia per aver dato sinora una misera prova di sé, si lanciò in una disordinata aggressione, riuscendo anche ad affondare qualche pugno. Tuttavia Armour King rimase lucido e dandosi lo slancio sfruttando l’elasticità delle corde, si fiondò sull’avversario, mandandolo nuovamente disteso. Armour King si rivose allora verso il pubblico ed alzò le braccia per ringraziarlo, ma la distrazione servì al Giapponese per rimettersi in piedi ed imprigionare il Messicano con una delle prese che lo avevano reso noto nel suo paese. Il guerriero-giaguaro rimaneva stretto nella morsa del rivale, ma ad un tratto fu in grado di liberarsene, correndo all’indietro verso un angolo del ring e sbattendo ripetutamente la schiena, alla quale si era avvinghiato l’avversario, contro il sostegno delle corde. Il Nipponico cedette e Armour King ne approfittò per infliggere il colpo di grazia: afferrò la testa dell’Asiatico e la spinse violentemente contro il proprio ginocchio, per poi far rotolare via l’avversario tramortito. L’arbitro passò al conteggio dei secondi, ma il campione giapponese non fu in grado di risollevarsi entro il tempo stabilito. La vittoria fu allora attribuita al wrestler ospite, che rimase per qualche minuto a ricevere gli applausi del pubblico e a firmare autografi. Quello era l’ultimo di una lunga serie di successi, che avevano reso una celebrità nel mondo della lotta professionistica, ma che aveva avuto un’unica battuta d’arresto. Armour King era stato sconfitto durante il grande torneo del Pugno di Ferro, proprio da colui contro il quale non avrebbe mai voluto perdere, il suo acerrimo rivale King. Da allora non lo aveva più rivisto, ma nonostante i successivi incontri si conclusero sempre a suo favore, egli non aveva mai dimenticato quella disfatta e avrebbe dato qualsiasi cosa per incontrare ancora una volta quell’individuo ed ottenere la rivincita. Dopo aver assaggiato la polvere dell’arena del Tekken, King gli aveva teso la mano e lo aveva aiutato a rialzarsi, ma dopo averlo ringraziato dell’esaltante sfida, si augurò di rinnovarla in futuro, per poi sparire.
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#9 °Nina_Williams°

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Inviato 30 dicembre 2009 - 08:04

bellissimo depy!!! Stupendo l'incontro tra AK e il Giapponese :D troppo bello continua :)
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#10 depy91

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Inviato 31 dicembre 2009 - 01:19

Ancora grazie Nina! Apprezzo il tuo sostegno e continuerò di certo, anche se tu fossi l'unica interessata, come effettivamente sembra... :mmh: :) Ad ogni modo ecco qui il seguito:

Erano trascorsi due anni da quel giorno e molto era cambiato. Come dopo ogni incontro, Armour King anche tornò piuttosto presto nell’hotel in cui alloggiava, che metteva a disposizione dei suoi clienti un’ampia palestra dotata di ogni tipo d’attrezzatura. Il giaguaro nero vi faceva spesso visita per mantenere il proprio fisico costantemente in allenamento, e quella sera non fece eccezione. Una volta sazio d’esercizio e spossato sino allo stremo, dopo una piacevole doccia calda, Armour King si abbandonò sul divanetto della sala di lettura dell’hotel e si concesse qualche ora di riposo. Gli capitò tra le mani un quotidiano, una testata molto in vista in Giappone, del quale un articolo in particolare attrasse la sua attenzione. Il giornale riportava la notizia di un annuncio da parte di Kazuya Mishima, al quale era stato ceduto dal padre, sparito alla fine del torneo senza lasciar traccia, il controllo della società di famiglia, come premio per aver meritato il titolo di Re del Pugno di Ferro. Il giovane combattente indiceva infatti pubblicamente un nuovo Tekken. Armour King sollevò lo sguardo dai fogli stampati e lo rivolse alla finestra sorridendo. Considerò la notizia davvero interessante e pensò di trovarsi di fronte all’occasione perfetta per confrontarsi nuovamente con King, ma doveva possedere la certezza assoluta che quest’ultimo avrebbe partecipato alla competizione. Stabilì dunque di lanciargli il guanto di sfida di persona, tuttavia ne aveva perso le tracce dopo l’ultimo torneo, pertanto si sarebbe messo alla sua ricerca. Il giorno seguente iniziò con la consueta seduta di allenamento intensivo. Ogni muscolo, ogni fibra, si tendeva e si contraeva al ritmo della frequenza cardiaca in aumento. Di colpo il respiro si fece grave ed i battiti sempre meno frequenti. Armour King sentì le forze abbandonarlo ed il sangue ristagnare nelle vene. Le pupille percorsero verso l’alto il globo oculare sino a sparire dietro le palpebre superiori, i suoni tutt’intorno si fecero ovattati e confusi, le gambe cedettero e l’uomo dal capo felino piombò al suolo perdendo conoscenza.
Quando il suo udito riprese a funzionare, la prima cosa che ebbe modo di captare furono il “bip” cadenzato di un elettrocardiografo. Armour King rinvenne in un letto d’ospedale, dal suo polso fasciato partiva il lungo tubicino della flebo, un silenzio confortante regnava in corsia. L’uomo portò una mano alla fronte umida, una volta raccolte le idee gli fu facile comprendere cosa fosse accaduto. Ultimamente scene del genere erano divenute sempre più probabili, il suo cuore mostrava segni di affaticamento, ma il suo orgoglio non poteva ammettere una simile debolezza e, a costo di rischiare il collasso, egli aveva proseguito le sue estenuanti esercitazioni, nonché la sua carriera di lottatore professionista. Questa volta, però, il carico di sforzo a cui aveva sottoposto il proprio muscolo cardiaco si era rivelato davvero eccessivo e poteva ritenersi fortunato di essere ancora in grado di avvedersene. Ricevette la visita di un medico, il quale gli diagnosticò un’insufficienza cardiaca ricorrente, di cui era il caso di preoccuparsi. Aggiunse inoltre che per il suo bene Armour King avrebbe fatto meglio ad abbandonare il mondo del wrestling, prima che la cosa fosse diventata ancora più seria. Gli occhi del giaguaro nero si riaccesero di nuova vitalità e con inesausta determinazione rese noto il suo assoluto disaccordo con i consigli del medico, ai quali non avrebbe certo dato ascolto. Per di più Armour King scese dal letto, strappandosi letteralmente di dosso la flebo, e nonostante gli iniziali capogiri, afferrò con vigore il camice del dottore, che strattonò per avvicinarlo a sé, intimandogli di condurlo al luogo dove erano stati riposti i suoi indumenti, poiché non aveva la minima intenzione di restare in quell’ospedale un minuto di più. Il medico non poté fare altro che assecondarlo.
Quello stesso giorno, incurante di aver rischiato la vita e di essere ancora fortemente a rischio, il wrestler mascherato si avviò verso il luogo convenuto per l’iscrizione al secondo grande torneo di arti marziali di Tekken, in onore del quale erano stati organizzati degli spettacoli, tra cui alcuni combattimenti dimostrativi.
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#11 °Nina_Williams°

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Inviato 01 gennaio 2010 - 09:31

mamma mia la parte finale è fantastica!!!!!! continua assolutamente :sbav: :D
"Aggiunse inoltre che per il suo bene Armour King avrebbe fatto meglio ad abbandonare il mondo del wrestling, prima che la cosa fosse diventata ancora più seria. Gli occhi del giaguaro nero si riaccesero di nuova vitalità e con inesausta determinazione rese noto il suo assoluto disaccordo con i consigli del medico, ai quali non avrebbe certo dato ascolto. Per di più Armour King scese dal letto, strappandosi letteralmente di dosso la flebo, e nonostante gli iniziali capogiri, afferrò con vigore il camice del dottore, che strattonò per avvicinarlo a sé, intimandogli di condurlo al luogo dove erano stati riposti i suoi indumenti, poiché non aveva la minima intenzione di restare in quell’ospedale un minuto di più."
ADORO questo pezzo :D
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#12 depy91

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Inviato 02 gennaio 2010 - 01:33

Ciao Nina, ben tornata, sono felicissimo che ti piaccia! :P Farò come mi hai chiesto e continuerò a raccontare questa storia:

Sullo sfondo dell’ampio cortile di un’enorme pagoda, adorna di statue e legni pregiati, una folla numerosa assisteva all’elaborato kata eseguito in sincrono da una ventina di monaci. Attorno al pavimento lapideo dell’arena, fiaccole accese offrivano una suggestiva scenografia. A breve distanza, seduto su un alto trono, il giovane Mishima ammirava la piacevole dimostrazione, fiancheggiato a destra e a sinistra dalle sue due guardie del corpo. La prima era un uomo di colore dal fiero portamento, la cui capigliatura era acconciata secondo l’usanza tailandese, nell’altra Armour King riconobbe il più giovane campione di sumo della storia, una vera leggenda da quelle parti, dalla mole imponente e la particolare cicatrice al centro della fronte. Il giaguaro nero completò la propria iscrizione al torneo, mentre una voce annunciava il primo degli scontri che sarebbero stati disputati per il diletto dei presenti, invitando uno qualsiasi tra gli spettatori a salire sulla piattaforma per misurarsi con l’ultimo degli esperimenti di bioingegneria genetica sviluppato dalla Mishima Zaibatsu. Una gabbia fu calata in arena da una piccola gru, dal suo interno fu liberato, con somma sorpresa del pubblico, un canguro fornito di guantoni da box, che riscosse l’ilarità dei presenti, uno dei quali accettò la sfida, sottovalutando il singolare avversario. Quando il gong diede inizio al duello, tutti gli spettatori rimasero esterrefatti dall’abilità del marsupiale nello schivare, incassare e restituire i colpi infertigli. L’incontro terminò con l’inaspettata vittoria dell’animale, con il visibile compiacimento di Kazuya Mishima dall’alto della sua postazione. Il secondo incontro organizzato per la giornata sarebbe stato combattuto proprio dalle sue guardie del corpo. I due lottatori stavano già dando prova della loro grande esperienza nelle rispettive arti marziali, la muay thai ed il sumo, quando Armour King, impegnato ad assistere allo scontro, udì per caso la conversazione del trio di addetti alle iscrizioni che sedevano dietro un banco ligneo, davanti al quale si dipanava la fila di combattenti in attesa. Uno dei tre uomini si mostrava stupito dell’assenza del wrestler che nella precedente edizione del Tekken si era classificato in terza posizione, poiché a lui spettava il diritto di accedere alle fasi avanzate del torneo, senza dover partecipare agli incontri delle selezioni. Gli altri due ascoltatori informarono il collega che la persona in questione era sparito dal mondo della lotta ormai da un bel po’ di tempo e ritenevano piuttosto improbabile una sua iscrizione, pertanto suggerivano di eliminare dalla lista dei partecipanti il suo nome. Tuttavia proprio in quel momento, Armour King interruppe la loro discussione, avendo perfettamente intuito di chi stessero parlando. Ricevette in consegna l’invito al torneo, promettendo che avrebbe rintracciato e condotto in Giappone il suo destinatario.

La luna in compagnia di qualche tremulo astro tingeva di candide luminescenze l’oscuro cielo notturno di Città del Messico. Ancora quello sguardo infuocato, ancora quella voce raccapricciante, ancora quel viscido rettile sibilante, ancora una volta il sonno di King fu bruscamente interrotto da quelle terrificanti immagini. Si risvegliò sbarrando gli occhi e ansimando, ma attorno a lui tutto taceva. Distesi i nervi, tese il braccio, sporgendosi lievemente, sollevò dal piano del comodino una bottiglia di Tequila e ne ingollò alcuni sorsi. Quella notte King aveva trovato riparo nella camera trasandata di un fatiscente motel periferico, costatagli pochi spiccioli, ma contenente tutto ciò di cui sentiva il bisogno, ossia una branda arrugginita, un materasso e qualche coperta sgualcita. I soldi guadagnati attraverso i combattimenti clandestini finivano in massima parte in liquori e strip-club di bassa lega, per cui quella misera stanza era il meglio che potesse permettersi, ma la cosa non sembrava importargli. In realtà nulla pareva ormai avere un qualche valore per lui. La sua vita era vuota e trascinata a stento verso una via priva di meta, una simile situazione poteva soltanto peggiorare. King si alzò ed afferrò l’impermeabile con l’intenzione di indossarlo, ma mentre lo sollevava qualcosa cadde da una tasca interna e finì sul pavimento. L’uomo si chinò, raccolse l’oggetto e si riadagiò sul letto per esaminarlo. Si trattava di una vecchia fotografia che lo ritraeva attorniato dai bambini dell’orfanotrofio. Fu scattata al suo ritorno dal Giappone, dopo la fine del primo torneo del Pugno di Ferro. Ricordava perfettamente quel giorno di festa, in cui tutti i piccoli inneggiavano alle sue gesta di lottatore. King si commosse riportando alla mente quei piacevoli attimi del suo passato, la nostalgia di quel luogo e dei suoi abitanti non lo aveva mai abbandonato. Dopo una lunga riflessione, decise che vi avrebbe fatto visita quella stessa mattina e non mancava ormai molto al sorgere del sole.
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#13 °Nina_Williams°

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Inviato 05 gennaio 2010 - 02:17

scusami depy ma non ho avuto tempo per commentare, è fantastico questo capitolo, la parte inziale mi è molto piaciuta è molto bella :ahsisi: anche le ultime tre righe di King mi piacciono molto, però la parte iniziale e prp fatta bene continua così :D
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#14 depy91

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Inviato 05 gennaio 2010 - 05:21

Ciao Nina, era ora, mi stavo preoccupando! :P Cmq continua a giudicarmi, è un ottimo modo per migliorare me stesso! :ahsisi: Ecco il nuovo capitolo:

King tentò di riprendere sonno, ma inutilmente, finché l’alba fece il suo raggiante ingresso in camera, attraverso i vetri infranti della piccola finestra. Il wrestler uscì dal motel di buonora e si avviò con il cuore colmo d’emozione verso l’amato orfanotrofio, tuttavia non appena esso gli si parò innanzi in fondo alla strada, egli sentì mancargli il respiro ed un’avvolgente brivido pervadergli la schiena. King fu colto da un improvviso ripensamento ed avendo sentito qualcuno in procinto di uscire dall’edificio, di istinto il visitatore si nascose dietro le siepi che circondavano la staccionata di cinta. Troppo tardi si era reso conto che nessuno sarebbe stato lieto di rivederlo dopo tutto quel tempo in cui era svanito nel nulla, senza dare notizia alcuna di sé, senza uno straccio di addio, e soprattutto ridotto a quel modo pietoso. Sarebbe stato di certo terribile per i bambini venire a sapere che il loro idolo era divenuto un poco di buono, schiavo dell’alcol. King si scorse lievemente dai rami per dare un ultimo sguardo al luogo a cui aveva dedicato gli anni più soddisfacenti della sua vita: nel cortile un gruppo di orfani stava giocando allegramente assieme al loro tutore. Un amaro sorriso si distese sul volto di King, che si rimise in piedi e si apprestò a tornare sui propri passi, sennonché qualcuno strattonò un lembo del suo impermeabile. Il Messicano si voltò, trovandosi di fronte uno dei bambini, il quale inaspettatamente domandò: “Noi ci conosciamo per caso, signore?”. L’interpellato rimase pietrificato e non ebbe la forza di rispondere, ma proprio in quel momento il tutore chiamò a sé il fanciullo, invitandolo a non rivolgere più la parola agli sconosciuti. King provò un bruciante senso di vergogna, che lo gettò in uno stato di frustrazione. Fece qualche passo per andarsene dal quel posto pieno di ricordi, ma si fermò per qualche istante prima di proseguire. Infilò una mano in tasca, da cui tirò fuori la sua maschera maculata, la strinse forte nel suo pugno, poi con gesto violento la scagliò tra le siepi, abbandonandola come simbolo del suo distacco definitivo dal passato, infine riprese il cammino, senza mai voltarsi indietro.
Ben presto la condizione di King precipitò. Diveniva sempre più difficile incontrarlo sobrio, i suoi scatti d’ira dovuti all’abuso di alcol diventarono progressivamente più frequenti, così come le sue visioni; il suo aspetto era trasandato, il suo carattere ingestibile ed i suoi movimenti rallentati ed impacciati, tanto che nessuno era più disposto a scommettere un centesimo sui suoi incontri e perciò anche la sua unica fonte di sostentamento si era ormai esaurita. Il grande lottatore dall’enigmatico volto di giaguaro si era squallidamente trasformato in un pezzente alcolizzato, costretto a mendicare per sopravvivere. Cominciò a dormire per strada, sotto una qualche copertura che potesse proteggerlo dalla pioggia, essendo per lui diventato troppo oneroso persino il peggiore degli stanzini diroccati del motel. Tormentato dai fantasmi del passato e dai suoi incubi, King viveva ogni giorno sperando che finisse in fretta, costantemente perseguitato da quella voce incomprensibile che si insinuava sempre più spesso nella sua testa, per indebolirlo nel profondo e farlo impazzire.

A migliaia di chilometri di distanza, invece, Armour King aveva dato inizio alle sue ricerche. Consultò l’archivio della Pro Wrestling World e scoprì che l’ultimo incontro ufficiale disputato dal rivale risaliva a più di un anno prima ed era stato disputato in Messico. Ne controllò la data esatta per poi passare alla lettura degli articoli di giornale, che avevano trattato l’esito dell’evento sportivo, pubblicati nei giorni immediatamente successivi. Uno tra questi riportava tra i dettagli di approfondimento dedicati al wrestler mascherato, il suo impegno nel sociale, in particolare per l’istituzione di un centro dedito alla cura di orfani e al recupero di giovani provenienti da ambienti criminali. Armour King comprese di aver individuato un ottimo punto di partenza, pertanto proseguì nel raccogliere informazioni sull’orfanotrofio, reperendone località ed indirizzo. Quando ritenne di aver raggranellato un numero sufficiente di dati, decise di partire immediatamente alla volta del Centro America, dove sperava di ottenere indicazioni ancora più precise. Il giorno seguente, Armour King stava già sorvolando l’oceano e si apprestare a tornare nella sua terra d’origine. Una volta giunto in aeroporto, chiamò un taxi e fornì le coordinate della sua destinazione. Dopo una buona mezzora, il mezzo si addentrò nella zona malfamata della città. Ogni angolo trasudava insicurezza e timore, sui volti dei loschi tipi che popolavano quelle vie, si poteva leggere il genere di esistenza a cui si erano da tempo adattati, un odore insopportabile di sporco appestava l’aria. Finalmente il taxi si fermò ed il conducente confermò di essere giunti alla meta stabilita, premurandosi di mettere fretta al cliente poiché giudicava poco conveniente sostare allungo tra quei pericolosi vicoli. Il giaguaro nero pagò il tassista e lo ringraziò per il servizio. Davanti a sé si ergeva, immerso tra le casupole scrostate del quartiere, un palazzo di ragguardevoli dimensioni, fiancheggiato da una chiesetta, su cui svettava una piccola torre campanaria, recante un orologio in facciata. Il visitatore era certo di trovarsi nel posto giusto. Bussò alla porta, ad aprire fu un anziano prelato, il quale invitò l’ospite ad entrare.
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#15 °Nina_Williams°

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Inviato 05 gennaio 2010 - 09:02

(scusa per l'assenza ma ora non preoccuparti ho molto più tempo per seguire la tua FF :D )
depy è fantastico questo capitolo ma se devo essere sincera mi piace di più la parte di King :P è fantasticaaa continua ti prego :D
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#16 depy91

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Inviato 06 gennaio 2010 - 04:32

Ben tornata Nina! Sono appena arrivato a Roma, il che significa che sarò io ad avere poco tempo per la ff ora... <_< Comunque posterò tutto quanto ho già scritto a partire da adesso. PS: prelato=prete :D

Armour King sottopose al prete le ragioni della sua venuta, seduti davanti ad un caminetto acceso. Egli ammise di non avere alcuna idea su dove potesse essere finito l’indimenticato fondatore dell’orfanotrofio e con rammarico raccontò di non ricevere più sue notizie ormai da molto tempo. Continuò rievocando i tragici momenti della morte del piccolo orfanello malato e della conseguente scomparsa di King. Da allora nessuno lì intorno l’aveva più rivisto. Il giaguaro nero ringraziò vivamente il religioso per il prezioso aiuto e dopo aver consegnato un’offerta in favore della causa inseguita dal centro, lasciò l’edificio. In realtà quanto aveva appena appreso non era esattamente il genere di indizio che si aspettava di ricevere, in effetti continuava a brancolare nel buio. Mentre si perdeva in tali riflessioni, tuttavia, ebbe l’impressione di notare qualcosa di strano tra le siepi che verdeggiavano attorno all’orfanotrofio. Armour King si avvicinò, tese il braccio e afferrò l’oggetto. Con sommo stupore constatò di aver reperito la maschera di King, non v’era alcun dubbio, l’avrebbe riconosciuta ad occhi chiusi. La cosa lo lasciò interdetto e scosso, un’intima tristezza lo pervase incrociando lo sguardo spento di quel volto felino dismesso. Decise dunque di tirarsi su bevendo qualcosa ad un bar.
Il locale in cui entrò appariva semideserto, ai tavoli disillusi figuri consumavano le proprie ordinazioni chiacchierando rumorosamente, mentre dietro al bancone il titolare era indaffarato ad asciugare alcuni bicchieri, avvalendosi del proprio grembiule da lavoro. Armour King prese posto su uno degli sgabelli e con un gesto silenzioso indicò al barista di servirgli ciò che stava scolando avidamente il cliente seduto accanto a lui. Gli fu consegnato un bicchiere quadrangolare in vetro, colmo di gin, che il giaguaro nero gustò lentamente, mentre la sua mente cercava la maniera di proseguire le ricerche del rivale. Lo sconosciuto al suo fianco prese la parola, rivolgendosi al barman, con il quale sembrava condividere un’assodata confidenza, forse conseguita attraverso anni di frequentazioni assidue di quella topaia. Il dialogo attirò l’attenzione di Armour King, che fingendo indifferenza, tese le orecchie per ascoltare ogni parola. L’uomo versò nel proprio bicchiere le ultime gocce contenute nella bottiglia e bevve d’un fiato, poi, asciugatosi la bocca con la manica della giacca, domandò con voce alterata dagli influssi dell’alcol:

”Ehi, Carlos, che diavolo di fine ha fatto quel tipo mascherato? Era dannatamente forte!”.
Terminata la sua opera di pulizia, il barista rispose ironico:
“Beh, non abbastanza da resistere al richiamo della bottiglia”.
I due scoppiarono in una grossa risata, poi il cliente riprese:
“Vinceva bei soldoni combattendo qui nel locale, credo di non averlo mai visto perdere, eppure è da molto che non sento più parlare di lui, dov’è finito?”
“Non ne ho notizia ormai da parecchio, l’ultima volta che ho avuto a che fare con lui, stava sperperando tutto il guadagno della giornata in litri di liquore, proprio qui dove sei seduto tu adesso. Ho sentito dire in giro che abbia abbandonato gli incontri e qualcuno giura di averlo riconosciuto in un barbone che bazzica da queste parti ogni tanto. Brutta fine davvero”
“E’ un vero peccato, diamine! Si vinceva a colpo sicuro puntando su di lui, ora dovrò trovarmi qualcun altro su cui scommettere. Grazie della bevuta, Carlos, metti tutto sul mio conto”
“Il tuo conto sta allungandosi troppo, Felix”
“Andiamo, sta’ tranquillo, pagherò tutto… prima o poi, ti saluto amico”.

L’uomo lasciò il bar reggendosi a malapena sulle gambe. Il titolare si rivolse allora ad Armour King. Che non si era perso neanche una frase, e chiese se il cliente necessitasse d’altro. Il forestiero pretese ulteriori informazioni sul recente passato dell’oggetto della precedente conversazione e le ottenne. Sazio di dettagli, uscì in strada ancora più determinato che al principio.
Mentre ciò accadeva, non lontano, King trascinava i suoi passi incerti in un vicolo oscuro ed umido. Una bottiglia sorretta da una presa instabile, spargeva sull’asfalto gocce vermiglie, a causa dell’andatura barcollante. Il respiro si era fatto affannato, le gambe deboli e lo sguardo fisso, la sua mente offuscata dai vapori inebrianti dell’alcol cominciò a schiarirsi, ma soltanto per infestarla di note visioni. Di nuovo quegli occhi iniettati di sangue lo stavano osservando ed una voce mostruosa pronunciava formule dall’ignoto significato e dal tono inquietante, nuovamente dal nulla apparve il serpente dalle mandibole in tensione, il cui sibilo venefico echeggiava tra gli incubi di King. Colto da improvviso cedimento, egli urtò, semisvenuto, contro la parete di mattoni alle sue spalle e strisciandoci contro finì al suolo. I suoi occhi si levarono al cielo gelidi e inespressivi, forse agognando una tregua da cotanto tormento, le dita della mano destra mollarono la presa e la bottiglia prese a rotolare fragorosamente. Le sue labbra, attorniate da una folta barba incolta, rimanevano dischiuse ed il suo petto si gonfiava ripetutamente in cerca di aria fresca e nuova da immettere nei polmoni. Già, aria nuova, era ciò di cui aveva assoluto bisogno da troppo tempo e la speranza aveva ormai da molto abbandonato il suo animo lacerato. Restò in questo stato di immobilità forzata per diversi minuti, una volta ripresosi tese il braccio per recuperare la bevanda, ma quando la sua mano la intercettò, King si accorse che qualcosa aveva fermato il suo percorso. Ruotò lentamente il capo, uno stivale era poggiato sulla bottiglia. L’uomo in stato di semi-incoscienza sollevò lo sguardo, trovandosi di fronte alla persona che meno si sarebbe aspettato di vedere: il suo grande rivale Armour King si ergeva in piedi ad osservare l’orrendo spettacolo offerto dalla sua vita attuale. Un suono inarticolato provenne dalla gola di King, ma prima che potesse venir tramutato in parola compiuta, con un gesto il giaguaro nero lo interruppe e tirò fuori da una tasca qualcosa che il wrestler decaduto riconobbe alla prima occhiata. Con un rapido movimento del polso Armour King lanciò la gloriosa maschera dalle sembianze di felino maculato verso il suo legittimo proprietario. Quest’ultimo l’afferrò e rivolse all’inaspettata apparizione uno sguardo interrogativo. “Alzati” comandò il giaguaro nero “Non sei tu quello che sto guardando in questo momento, il passato può infliggere ferite dure a rimarginarsi, ma esiste una cura… sopravvivi ai tuoi dolori e dai un senso alla tua vita, affinché ciò che è stato non venga dimenticato e mai più accada”. Tali frase fu seguita dalla sua mano protesa per aiutare l’amico-rivale a risollevarsi. Egli accettò l’ausilio e si rimise in piedi, infine ringraziò accoratamente, quanto aveva ascoltato era esattamente lo sprone a ricostruire sé stesso di cui aveva estremo bisogno.
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#17 °Nina_Williams°

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Inviato 06 gennaio 2010 - 04:46

woooow è stupendo!!! i pezzi che mi sono più piaciuti sono:
1) quando AK sta al bar e sente quei due parlare (e Felix che dice "metti tutto sul mio conto" :lol: non pagherà mai :lol: )
2) Quando King e AK si incontrano (la parte finale) :) troppo bello continua :D

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PS: grazie per il termine "prelato" :D
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#18 Mizama93

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Inviato 09 gennaio 2010 - 09:18

Leggere le tue FF un po' alla volta è bellissimo,ma leggerle in una volta è stupefacente!!! Continua cosììì!! :)
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By sandrone83!

#19 depy91

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Inviato 10 gennaio 2010 - 06:53

Whilà mizama, ben tornato, ci sei mancato! :) Grazie mille delle belle parole e cercherò al più presto di accontentarti! :sisi:
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#20 depy91

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Inviato 11 gennaio 2010 - 12:44

Armour King infilò una mano nella giacca e la ritirò subito fuori, stringendo tra le dita un foglio di carta e lo consegnò alla vecchia conoscenza, che diede una veloce occhiata prima di chiedergli di cosa si trattasse. Il giaguaro nero allora spiegò che il secondo Iron Fist era alle porte e quello costituiva un invito ufficiale a parteciparvi, sarebbe stata l’occasione perfetta per ricominciare da zero e saldare il conto tra i due rivali. King percepì una sensazione sopita ormai da molto tempo, il suo cuore prese a battere più in fretta, come colto da un’inconscia eccitazione, il suo spirito provato rinverdiva d’un tratto, finalmente era riuscito a scovare in sé stesso la forza di voltare pagina e ad imporre una nuova direzione alla propria esistenza. Il torneo gli avrebbe restituito la tempra, la personalità e il prestigio del passato, cosicché sarebbe potuto tornare a testa alta tra le accoglienti mura dell’orfanotrofio, mai dimenticato e per il quale avrebbe dato ogni cosa. Lo sguardo di Armour King si fece serio, la sua voce ombrosa: “Sia chiaro, non intendo accettare un rifiuto da parte tua. Mi devi una rivincita e stavolta non ti andrà tanto bene, dovrai impegnare ogni tua fibra per starmi dietro, per cui preparati, il grande giorno si avvicina”. Sul viso segnato dall’incuria del wrestler appena uscito da una grave crisi personale comparve un abbozzato sorriso, il primo dopo una lunga astinenza da gioie e soddisfazioni. Quelle parole avevano ridestato la sua voglia di combattere per uno scopo e non si sarebbe lasciato scappare l’occasione di assecondarla. Un’altra stretta di mano e infine l’antagonista si congedò da King, che dopo un breve istante di disorientamento, volle meglio osservare l’invito al Tekken. Dischiuse allora il foglio piegato quattro volte che gli era stato affidato, ma sorprendentemente da quel risvolto cartaceo cadde un mazzetto di banconote, evidentemente l’ultima forma di aiuto offerta dal rivale, segno del rispetto reciproco che per molti aspetti poteva essere confuso per un legame d’amicizia. Da allora la vita di King mutò radicalmente: riprese il suo regime di allenamento, rimise in sesto il suo fisico e con enorme fatica e forza di volontà fu in grado di disintossicarsi dalla sua dipendenza dall’alcol. Quando fu lieto di accettarsi di nuovo come individuo cosciente e dignitoso, il lottatore fece il suo tanto atteso ritorno nella casa d’accoglienza per fanciulli soli al mondo. Tutti i frequentatori dell’istituzione riabbracciarono il fondatore con intenso trasporto emotivo, poiché ognuno aveva pregato perché nulla di male gli fosse capitato. Intanto i giorni passavano e l’inizio del grande torneo d’arti marziali si avvicinava. Entrambi i combattenti mascherati preparavano con cura il loro momento alla competizione indetta dal giovane Mishima, con ragioni molto differenti, ma carichi della stessa frenesia di scontrarsi per contendersi la vittoria del duello. Come loro tutti gli altri partecipanti al torneo si apprestavano a scendere in campo con i propri obiettivi e sogni di gloria.
Finalmente il giorno tanto atteso giunse assolato e grondante di aspettative. La grande arena del Tekken era attorniata dai valorosi combattenti, che sulla sua superficie erano pronti a dare spettacolo delle rispettive abilità. Il gong vibrò sonoramente e tutti i lottatori eseguirono un inchino verso il pubblico che era accorso numeroso ad assistere all’evento. Kazuya spiccava in posizione centrale sulla piattaforma, per dare il benvenuto agli spettatori e agli sfidanti, che si sarebbero di lì a poco contesi la finale contro di lui per l’agognato trofeo. Il premio di questa edizione consisteva in un’enorme quantità di denaro, messa in palio dalla Zaibatsu. Una prospettiva che faceva gola ai più, ma qualcuno stava per fare la sua comparsa sulla scena del Tekken, con un fine ben meno materiale dell’ingente somma. I festeggiamenti pre-gara furono infatti bruscamente interrotti dall’improvviso frastuono prodotto dagli stipiti dell’alt portale del tempio, sbattuti con violenza contro la parete in mattoni. Un brusio crescente si insinuò tra i presenti a causa dell’inaspettata apparizione: un uomo dalla sagoma offuscata dalla luce solare, copiosa alle sue spalle, sostava sulla soglia in silenzio. Il suo braccio si protese con rapido gesto verso l’organizzatore della manifestazione, l’indice teso appariva come un minaccioso segnale di avvertimento. Dalla figura dai contorni sfocati si levò un grido, il cui destinatario era messo ben in evidenza sin dall’inizio: “Kazuya, che tu sia maledetto!”. L’arrogante intruso fece un passo in avanti, liberandosi dalla prigione di luce che ne rendeva impossibile l’identificazione e mostrandosi dunque per colui, che nessuno, tantomeno Kazuya, si aspettava di incontrare. Heihachi Mishima era tornato dopo due anni dalla sua scomparsa. Quasi istantaneamente, un’orda di soldati appartenenti al gruppo scelto della Tekken Force si riversò nell’arena per difendere il loro comandante da eventuali attacchi del padre, ma inaspettatamente, il giovane Mishima ordinò di abbassare le armi e lasciare che l’uomo creduto defunto parlasse. Egli, per nulla spaventato dalle decine di fucili puntatigli contro, riprese il suo discorso: “Il tuo tentativo di farmi da parte per sempre è fallito miseramente, spregevole essere immondo, hai cercato di privarmi dei miei averi, dei miei piani, della mia stessa vita, ma per tua sfortuna sono venuto a riconquistare ogni cosa mi è stata sottratta. E’ giunta la tua ora, Kazuya, e non sarò clemente neppure quando verrai strisciando ad implorare il mio perdono. Affrontami se ne sei in grado, questa volta non ti sarà facile sfuggire alla mia ira!”. L’intero edificio rumoreggiò esterrefatto, ma il leader della Zaibatsu non batté ciglio, limitandosi a rispondere: “Padre, non mi aspettavo di rivederti tanto presto, ma ciò non fa che rendere la cosa ancora più interessante. Se davvero ritieni di potermi sconfiggere, allora prendi parte al torneo, come io stesso feci due anni addietro, e dimostra quanto le tue parole non siano solo foglie nel vento. Io starò qui ad attenderti”. Heihachi ringhiò come una belva feroce, prese a camminare a passo svelto e incurante delle due guardie abbigliate da antichi samurai, poste in prossimità della zona riservata ai lottatori, le scagliò con a terra con vigore e con un tremendo pugno ad una delle quattro statue lignee raffigurante un dragone, situate agli angoli dell’arena, mandò l’effige in mille pezzi, sancendo di fatto la sua scelta di accettare la sfida.
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